Serie B, un limbo surreale

Sempre più difficile che il campionato riparta. Protocollo medico dai costi insostenibili

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“Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza”.
Giovedì prossimo al Del Duca si sarebbe dovuta giocare Ascoli-Benevento, ultima giornata di regular season. E invece ci troviamo in un limbo surreale, nella snervante attesa dell’ignoto. Esattamente due mesi fa il campionato cadetto è stato improvvisamente interrotto, come un pc a cui si stacca la spina. Dieci turni da disputare, oltre al recupero di Ascoli-Cremonese e l’appendice di playoff e playout, sono un supplemento troppo ampio per essere garantito nelle attuali condizioni di incertezza. Il consiglio direttivo di B ha stimato in tre mesi dalla ripresa degli allenamenti – attualmente ipotizzata per il 18 maggio – il tempo necessario a completare la stagione. Troppi, se considerato il paletto del 3 agosto imposto dalla Uefa per concludere i campionati nazionali. E’ pur vero che le squadre cadette potrebbero sforare, non dovendo partecipare alle coppe europee. Ma resta sempre il nodo dei contratti in scadenza il 30 giugno, procrastinabili in accordo con l’Aic, ma non per periodi eccessivamente lunghi.
Ma l’ostacolo più irto da superare è quello del protocollo medico, ancora da definire tra Figc e Ministro della Salute, dopo le direttive del comitato tecnico-scientifico. Quello proposto è stato ritenuto insufficiente, eppure andandolo a sviscerare sembrava già insostenibile per qualsiasi club cadetto. Maxi-ritiro fino al termine del torneo, senza possibilità di contatti con l’esterno (neppure con i propri familiari), intero albergo riservato esclusivamente a squadra e staff tecnico, camere singole, pasti a buffet, allenamenti con distanziamento sociale nelle prime due settimane, divieto o comunque forte limitazione delle riunioni tecniche, sanificazione quotidiana di centro sportivo e attrezzature, test sierologici ogni tre giorni, notevoli prescrizioni nella fisioterapia. Costi astronomici imposti a carico delle società, in un periodo di profonda crisi in cui Dazn chiede il posticipo del pagamento della terza e ultima tranche oltre ad uno sconto sui diritti tv della prossima stagione, mancato incasso dai botteghini, forte difficoltà degli sponsor a mantenere gli impegni, modalità di rimborso agli abbonati per le partite a cui non hanno potuto assistere. Si sta discutendo di una sensibile riduzione degli stipendi dei calciatori, ma senza un intervento governativo è tutto lasciato alla trattativa privata. L’Ascoli ne ha parlato pubblicamente, senza ancora approfondire il discorso coi diretti interessati. In assenza di un sostegno statale molti club rischiano di non riuscire a ripartire. E non è ancora chiaro cosa succederebbe per nuovi casi positivi tra i giocatori. Se si riparte senza regole chiare, il rischio di fermarsi nuovamente è altissimo. Con un ulteriore aggravio di costi.
Nessuna decisione è ancora presa, anche perché da un punto di vista legale è differente che lo stop sia autoproclamato (dalla Lega) oppure imposto da un terzo (Governo) per causa di forza maggiore. Nella seconda ipotesi ci sarebbero i presupposti per una disputa legale nei confronti delle paytv per cercare di ottenere il pagamento completo dei diritti televisivi. Chi pensa che il calcio sia solo un gioco sbaglia. E’ la terza industria nazionale, muove notevoli interessi economici e comunque dà sostentamento non soltanto ai calciatori milionari ma anche a un sottobosco di onesti lavoratori, amministrativi e dell’indotto.
Parliamoci chiaro: è estremamente difficile che il campionato riparta. La Lega Pro si è già arresa, seppur la sua decisione debba ancora passare attraverso le forche caudine del Consiglio Federale. Nessuno osa dirlo pubblicamente ma ogni giorno che passa l’ipotesi prende sempre più consistenza. Bisognerà capire come concludere la stagione, in quanto nessuna norma lo prevede e quindi è chiaro che ogni soluzione avrà strascichi nei tribunali, sportivi e ordinari. Anche qui sarebbe opportuno un decreto del Governo, come quando nel 2003 fu imposta la serie B a 24. Tante proteste, diversi ricorsi, ma si andò avanti. “The show must go on”, altrimenti potrebbe essere un “go home”, ossia un “tutti a casa”. Come fosse un nuovo lockdown. Dagli effetti devastanti.

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